Le bugie rappresentano una fase evolutiva normale e fisiologica: attraverso di esse i bambini costruiscono un proprio spazio segreto, che si arricchisce anche di sentimenti o emozioni che hanno paura di mostrare, di cui sono gelosi o di cui si vergognano.
Generalmente si pensa che i bambini dicano bugie per ottenere piccoli e immediati vantaggi (ad esempio, affermano di aver finito i compiti per poter andare a giocare). In altre situazioni, l’obiettivo principale è quello di non perdere l’affetto delle persone per loro importanti (ad esempio, non raccontano un brutto voto o un rimprovero a scuola perché hanno paura di deludere i genitori). È essenziale comprendere significati e motivazioni delle singole bugie nel contesto in cui vengono utilizzate, per facilitare nei figli l’uso di strategie più adeguate, salvaguardare il senso di sé e le relazioni con gli altri. Il modo con cui genitori e adulti li aiutano sin da piccoli a gestire questi aspetti sarà fondamentale, soprattutto durante l’adolescenza, fase in cui la bugia rappresenta anche una modalità per affermare la propria identità e autonomia.
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I genitori possono avere una notevole influenza sul linguaggio dei loro figli e sullo sviluppo del cervello semplicemente coinvolgendoli in una conversazione. Un dialogo tra un adulto e un bambino sembra cambiare infatti il cervello dei piccoli, portando una maggiore attività in un'area denominata di Broca, coinvolta nella produzione e nell'elaborazione del linguaggio. Emerge da uno studio del Massachusetts Institute of Technology e della Harvard University, pubblicato su Psychological Science.
Lo studio è partito dai dati di una ricerca del 1995, che parla di un gap di circa 30 milioni di parole ascoltate nei primi tre anni di vita tra i piccoli nati da famiglie a basso reddito e quelli nati da genitori con stipendi più elevati. Prendendo in esame bambini di età compresa tra 4 e 6 anni e con l'utilizzo risonanza magnetica funzionale (fMRI), i ricercatori hanno identificato differenze nella risposta del cervello al linguaggio correlate al numero di conversazioni dei bimbi con i genitori. Una cosa valida e che applicava indipendentemente dal reddito o dall'educazione di mamma e papà. I ricercatori sperano con questa scoperta di incoraggiare i genitori a coinvolgere i loro bambini in una conversazione più ampia, sin da piccoli. "Una delle cose di cui siamo entusiasti è che sembra una cosa relativamente fattibile - conclude John Gabrieli, autore senior dello studio - ciò non significa che sia facile ad esempio per le famiglie meno istruite, in condizioni di maggiore stress economico, avere più conversazioni con i propri figli. Ma allo stesso tempo, è un'azione mirata e specifica, e potrebbero esserci modi per promuoverla o incoraggiarla ". |
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